La veglia del 5 settembre ci ha consentito di riflettere sulle tre virtù teologali e sul tormento e la rinascita di Olinto Marella. Nel corso della serata abbiamo conosciuto la sofferenza della sospensione a divinis, la speranza e la fede che si compiono nella carità diventa la ragione di vita di Padre Marella.
Qui di seguito, don Olinto nelle sue stesse parole:
«Posso dire con tutta verità che la strada della mia salvezza è stata la carità. L’orgoglio mi avrebbe perduto. La carità mi ha salvato.
Dio mi ha forgiato non nella dolcezza, ma nelle prove difficili che potevano rischiare di mettere in discussione tutta la mia vita spirituale.
Il perdono fu per me il più soave dei sentimenti, la più importante delle virtù, il più spontaneo degli atti. Da quando sono andato in pensione, mi sono applicato costantemente ai poveri e ho accolto nella mia casa in via San Mamolo i primi orfani. Ho aperto asili, ho fondato altre opere caritative, associazioni, case rifugio e ho aiutato molti ebrei perseguitati e anche soldati sbandati.
Ed ora senza vergogna, pur essendo stato un professore di filosofia, oggi stendo il mio nero cappello di feltro per avere qualche elemosina a favore dei miei poveri. Non mi vergogno di essere “mano di Dio”, mano di carità, mano di perdono.»
La veglia è stata chiusa da un appello corale ai santi, canonizzati e non, a quelle figure che come Padre Marella hanno speso la propria vita per gli altri, per gli ultimi, per gli scartati:
Don Luigi di Liegro, ci hai ricordato che non si può amare a distanza, restando fuori dalla mischia, senza sporcarsi le mani, ma soprattutto non si può amare senza condividere.
Alexander Langer, tenace uomo di pace, hai lottato una vita, seppur breve, per la pace dei popoli e il reciproco rispetto contro la brutalità della sopraffazione.
Don Lorenzo Milani, le tue parole risuonano oggi più necessarie che mai: Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora io dirò che io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri.
Hannah Arendt, ci hai disarmati scrivendo quello che avremmo avuto paura di pronunciare: il male non possiede profondità e può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla superficie come un fungo. Esso “sfida” il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua “banalità”. Solo il bene è profondo e può essere radicale.
Franco Basaglia, con la tua ostinazione hai lottato per restituire la dignità di persone agli esclusi, ai malati, abbattendo il muro che divideva gli uomini in sani e malati, degni e indegni, utili e inutili.
Don Primo Mazzolari, con le tue parole e con il tuo esempio ci hai insegnato che Non ci si salva per delega. Ognuno risponde della propria anima, come risponde del proprio prossimo.
Annalena Tonelli, la tua vita dedicata alla missione dell’amore per i poveri e per i sofferenti, le tue parole risuonano gentili e forti al tempo stesso nelle nostre coscienze: L’importante è continuare a lottare come se la verità fosse già fatta e i soprusi non ci toccassero, e il male non trionfasse. Un giorno il bene risplenderà.
Paulo Freire, dalla parte degli oppressi, contro la cultura della rassegnazione e dell’individualismo, perché nessuno libera nessuno, nessuno si libera da solo: gli uomini si liberano nella comunione.
Alessandro Leogrande, la tua lucidità e il tuo impegno mancano come l’aria. Hai raccontato e contrastato l’ignoranza, la malafede e le ingiustizie. Non hai mai banalizzato la complessità. Perché la frontiera corre sempre nel mezzo. Di qua c’è il mondo di prima. Di là c’è quello che deve ancora venire, e che forse non arriverà mai.